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Ne parliamo con Luca Raffini

Una intervista con Luca Raffini, Sociologo presso l'Università di Genova e Presidente di Sottosopra - Attivare democrazia, ed esperto di partecipazione ed innovazione sociale, sull'economia della collaborazione e della condivisione e sul percorso #CollaboraToscana. 

 

 

 

 

 

 

 

Quali sono gli sviluppi più promettenti che si sono aperti con lo sviluppo dell’economia della condivisione e della collaborazione?

Come sociologo, mi sento di evidenziare principalmente le dinamiche sottostanti l’economia della condivisione. Si deve tenere presente che i singoli individui che sono coinvolti nel processo sono fortemente connessi tra loro. Assistiamo ad una riduzione dell’importanza del ruolo classico delle istituzioni e, allo stesso tempo, contano sempre di più le connessioni che si creano tra i singoli individui, quel legame sociale che si sta pian piano instaurando tra individui singoli della società. Non parliamo più di categorie sociali rigide, bensì di singoli cittadini che si connettono tra di loro, creando una rete di relazioni, scambi, conoscenze nuovi rispetto al passato.
Proprio grazie a questo cambio di prospettiva, che deriva dalla diffusione di realtà legate all’economia della condivisione, si può andare a incidere su molti fattori, anche a livello sociale. Per fare un esempio, basti pensare alla retorica dei giovani disinteressati, non attivi politicamente né socialmente. Il mutamento sociale in corso potrebbe evidenziarne le potenzialità, smentendo ogni tipo di preconcetto sui giovani.

Molti commentatori mettono in evidenza anche possibili criticità e rischi. Quali sono secondo te gli elementi da tenere in considerazione da questo punto di vista?

Le criticità che possono emergere sono davvero molte. D’altra parte, qualsiasi tipo di mutamento sociale non può essere considerato completamente positivo o negativo, come nella dicotomia dell’apocalittico e dell’integrato di Umberto Eco. Questo poiché, in quanto processi sociali, non posseggono un fine prestabilito dall’inizio, essendo fenomeni sorti in maniera del tutto spontanea. E’ necessario trovare la modalità più adeguata per gestire queste realtà.
Riguardo i rischi che l’economia della collaborazione può portare, in primo luogo si deve considerare il fenomeno della deregolamentazione. E’ un bene che ci si apra all’esterno e che si porti avanti la creatività dei singoli individui, ma esistono degli elementi che devono obbligatoriamente essere regolati per non incappare nell’economia sommersa (perdita totale delle tutele del lavoratore o del consumatore).
Per fare un esempio pratico, confrontiamo Gnammo [piattaforma social eating] ed un ristorante abusivo. Il confine legislativo tra queste due realtà è molto labile: qual’è la differenza tra una cena in un ristorante abusivo, non conforme alle norme igienico sanitarie previste, e una cena organizzata in una casa privata, come prevede la piattaforma Gnammo? Dobbiamo quindi stare attenti alla retorica del “si fa quel che si vuole” e considerare maggiormente i fruitori finali del servizio.

Mi puoi fare un esempio concreto di una esperienza legata all’economia collaborativa  che ti ha particolarmente colpito? Perché?

Invece di portare specifici casi singoli, vorrei parlare dell grande fenomeno del carsharing poiché penso che sia un caso positivo di innovazione sociale, utile alla nostra discussione. Viviamo in una società in cui si predilige l’idea che il benessere sia legato a doppio filo col possedere ed accumulare sempre più beni. Dunque è diventato normale, come fosse una moda, avere tre o quattro macchine per famiglia, utilizzare una auto senza altri passeggeri se non il conducente, col risultato di avere strade imbottigliate dal traffico, per non parlare dell’inquinamento che questi stili di vita producono. Questi sono comportamenti che possono essere tranquillamente bypassati da un cambiamento delle abitudini degli individui.
Il carsharing può trasformare radicalmente le nostre città. E’ evidente come la macchina di proprietà non potrà scomparire dall’insieme di beni di una famiglia, ma se si invertisse la tendenza, immaginando ad esempio che ci sia una sola macchina per nucleo familiare (e non tre o quattro) e contemporaneamente un incremento sostanziale dell’utilizzo del carsharing, ciò porterebbe sia un beneficio ambientale che della qualità della vita, nonché un ritorno economico importante per tutti coloro che sono coinvolti.
Spesso si tende ad analizzare solo la dimensione economica o solo quella etica di questo fenomeno, ma nel nostro caso le due sfere si sovrappongono. Il carsharing parte dalla dimensione prettamente economica: non si tratta di una nicchia di persone  particolarmente sensibili che si organizza, che quindi non va ad incidere sull’economia dominante. Fenomeni come BlaBlaCar sono ormai da considerarsi realtà economiche forti. In questo senso, il concetto di economia si modifica, passando dall’economia del possesso all’economia dell’accesso.

Un Governo Regionale ti ascolta: quali sono a tuo parere le azioni prioritarie per una gestione consapevole dell’economia collaborativa?

Tenendo presente che gli elementi che fanno parte della famiglia dell’innovazione sociale hanno una ricaduta enorme sulla società e che sono capaci di trasformarla, bisogna considerare che questo cambiamento non è mai del tutto positivo o negativo, tutto sta nella capacità di gestione dell’economia collaborativa. Secondo me è qui che entra in gioco la Pubblica Amministrazione, che, pur non assumendosi un  ruolo di gestione delle politiche economiche in questione, in senso forte, può attivarsi al fine di promuovere le pratiche virtuose e al contempo nel gestire le possibili criticità.
Cosa può fare, in concreto la Regione Toscana? Primariamente non deve far finta di nulla e lasciare fare tutto alla mano invisibile, in linea con il liberalismo classico. Non è vero che nel mercato tutto si riequilibra spontaneamente. Bisogna saper intercettare le peculiarità del fenomeno, limitandone gli effetti negativi. Questo non significa che la Pubblica Amministrazione debba arrogarsi il diritto di rivendicare il patrocinio delle iniziative in questione, distorcendone la natura: le istituzioni pubbliche devono comprendere questi fenomeni e mettersi al passo con essi.
Le  Pubbliche Amministrazioni devono cercare di attivarsi in campo legislativo: sempre più spesso si creano problemi legati a esperienze di economia collaborativa che non sono previste dalle norme in vigore. C’è bisogno di regolamentare, non limitandosi a delimitare il campo d’azione delle nuove iniziative dell’economia della condivisione. Non ha senso proibire, poiché significherebbe chiudersi in se stessi. Qui si tratta di pratiche di interazione orizzontale tra gli attori ed è quindi utile che le istituzioni creino un sistema facilitante, capace di far emergere le potenzialità di ogni individuo. Sarebbe dunque utile, da parte della Pubblica Amministrazione, offrire un quadro di sistemi virtuosi in un’ottica di ascolto e non di regia.

(Testo riadattato da un intervista per il percorso #CollaboraToscana)

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