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Ne parliamo con Gianluca Cristoforetti

Una intervista con Gianluca Cristoforetti, architetto e progettista, sull'economia della collaborazione e della condivisione e sul percorso #CollaboraToscana.

 

 

 

 

 

 

Quali sono gli sviluppi più promettenti che si sono aperti con lo sviluppo dell’economia della condivisione e della collaborazione?

In prima battuta, bisogna rilevare che l’economia della condivisione è qualcosa che oggi troviamo in forme diverse a livelli diversi, mentre l’economia della collaborazione si individua meno facilmente. Mentre sono visibili e conosciuti modelli di condivisione che tendono a consolidarsi attorno ad alcuni beni economici non saturi, sia a livello macro (si veda ad esempio il caso di Uber) che a livello atomico e territoriale (si vedano le esperienze di condivisione di spazi, dell’abitare, di servizi connessi all’energia), è più complesso citare esempi di economia della collaborazione, poiché questa presuppone che una comunità di utenti riesca a trasformarsi in una comunità di azione, con un intento condiviso e la capacità di trasformare l’intento in azione.

Bisogna poi distinguere tra gli strumenti di gestione della disintermediazione, cioè tra le piattaforme abilitanti necessarie per queste pratiche. I sistemi condivisi e collaborativi sono infatti disintermediati, ma la gestione di questa rete di utenti richiede di fatto la presenza di gestori della condivisione per la sharing economy e di abilitatori della collaborazione per l’economia della collaborazione, che siano in grado di mettere a sistema le connessioni. Nel caso della condivisione, un esempio classico di piattaforma è Uber. Nel caso della collaborazione invece, non è sufficiente creare uno strumento digitale, ma è indispensabile . creare dei sistemi di collegamento tra i vari nodi, costruire relazioni tra soggetti che devono definire una offerta e reti di relazione tra offerta e domanda. 

Ciò detto, ritengo che gli sviluppi più promettenti per questo tipo di pratiche siano in realtà in quei settori dell’economia che potremmo definire “disfatti”, i settori che hanno pagato un prezzo molto alto negli ultimi anni e che hanno necessità di essere ripensati velocemente. Un esempio è il settore dell’edilizia residenziale, un altro quello delle banche, o dell’auto. Settori che proprio per il loro essere in crisi, offrono l’opportunità di essere re-inventati con modalità nuove. 

Molti commentatori mettono in evidenza anche possibili criticità e rischi. Quali sono secondo te gli elementi da tenere in considerazione da questo punto di vista?

I rischi che vedo non sono tanto legati al tipo di partecipazione degli utenti o alle ricadute di questo tipo di partecipazione sulla privacy delle persone, quanto  piuttosto alla composizione della rete stessa e a chi la gestisce. Come riesco a controllare i sistemi di abilitazione forniti da queste piattaforme? Per quanto mi riguarda, il problema non è affatto fermare o arginare il processo in corso, ma capire come controllare i soggetti gestori della disentermediazione. 

Il tema lavoro è anch'esso molto complesso e delicato. Attualmente appare quasi impossibile applicare una contrattualistica al sistema collaborativo e definire una base comune di ridistribuzione del valore del lavoro, in termini contrattuali, remunerativi, eccetera. Per il lavoro è senz’altro necessaria una riflessione a parte, molto approfondita.  

Mi puoi fare un esempio concreto di una esperienza legata all’economia collaborativa  che ti ha particolarmente colpito? Perché?

Dal punto di vista della condivisione ci sono molti esempi e studi. Sul terreno dell’economia collaborativa siamo invece oggi in una fase di start up. Io sto lavorando alla definizione di una piattaforma collaborativa sul sistema turistico con 3 province e 23 comuni, che porterà il singolo operatore turistico a non costruire la sua proposta in maniera autonoma, ma a comporre con gli altri un’offerta sinergica in base alla profilazione del turista, andando ad intercettare viaggiatori in comunità nuove, con bisogni ancora inespressi. A Castel Bolognese, un piccolo comune in provincia di Ravenna, stiamo invece lavorando insieme sul terreno per testare se le stime della Commissione Europea - secondo le quali ogni famiglia può arrivare a risparmiare  circa 7 mila Euro l’anno grazie alla creazione di un sistema collaborativo integrato - siano di fatto realistiche. Qui stiamo lavorando su cosa  significhi “comunità”, concetto che abbraccia tutti gli elementi del vivere quotidiano: acquisti, energia, mobilità, welfare, rapporto con l’Amministrazione, etc.  

Un Governo Regionale ti ascolta: quali sono a tuo parere le azioni prioritarie per una gestione consapevole dell’economia collaborativa?

La Regione dovrebbe svolgere il ruolo di “lievito”: grazie alla istituzione di una task force interna con competenze interdisciplinari, dovrebbe affiancare i  territori che si candidano ad attivare sistemi e sperimentazioni di questo tipo. Io non credo, soprattutto per questo tipo di attività, che sia opportuno assegnare risorse economiche, mentre credo che sarebbe centrare offrire risorse umane, skills e competenze. Una task force di questo tipo potrebbe agire direttamente sul territorio, verificando l’esistenza di comunità di intenti, e capendo cosa serve per farle diventare comunità d’azione. 

Ultimo ma non meno importante, la Regione dovrebbe sviluppare l’approccio collaborativo al suo interno. Oggi gli Enti sono assai poco collaborativi nei loro sistemi di funzionamento, mentre per poter immaginare sistemi di questo tipo sui territori, è necessario che l’Ente regionale stesso introietti e faccia suoi l’intelligenza e i meccanismi della collaborazione.

(Testo riadattato da una intervista realizzata per il progetto #CollaboraToscana) 

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